Ah, la famosa “guerra dei 12 giorni”! Peccato che di giorni ce ne siano stati 14, ma evidentemente quando si tratta di conflitti internazionali, la matematica diventa un optional. D’altronde, chi ha tempo di contare quando c’è da dichiarare vittoria?
E parlando di vittorie, che spettacolo vedere “tutti”che rivendicano il merito del cessate il fuoco! L’Iran festeggia, Israele pure, Trump si prende i complimenti per una telefonata (probabilmente la più costosa della storia, considerando che ha fermato una guerra… o almeno così dice lui). È come quando tre persone si contendono il merito di aver acceso una lampadina: tutti hanno premuto l’interruttore, ma solo uno aveva la corrente attaccata.
Il presidente iraniano Pezeshkian ha “rivendicato la tregua come una vittoria” - perché niente dice “abbiamo vinto” come smettere di combattere dopo aver violato il cessate il fuoco. È un po’ come dichiarare di aver vinto una partita di calcio dopo aver fatto autogol, ma con più stile diplomatico.
Dall’altra parte, Trump è apparso “furioso” davanti ai giornalisti urlando «Non sanno che cazzo stanno facendo» - il che, traducendo dal trumpiano, significa: “Anche io non so che cazzo sto facendo, ma almeno lo ammetto con più enfasi”. Naturalmente, subito dopo si è “riconciliato con il suo alleato”, perché niente cementa un’amicizia internazionale come una bella arrabbiatura pubblica seguita da un rapido dietrofront.
L’esercito israeliano, nel frattempo, ha confermato che “ora la sua attenzione tornerà su Gaza” - come se Gaza fosse stata una pausa pubblicitaria durante la programmazione principale. “Torniamo ora al nostro conflitto abituale, già in corso da decenni, grazie per la pazienza”.
E mentre tutti si congratulano per la fine di questa guerra-non-guerra di 12-ma-in-realtà-14 giorni, bisognerebbe ricordare elegantemente che la fine della guerra dei 12 giorni non garantirà la pace a Israele fino a che non avrà affrontato la questione palestinese. Insomma, abbiamo risolto il problema secondario ignorando quello principale. È un po’ come aggiustare il rubinetto che gocciola mentre la casa è allagata, ma ehi, almeno il rubinetto non gocciola più!
Nel frattempo, “a Gaza prosegue una carneficina” - ma di questo si parla sottovoce, perché disturba la narrazione della vittoria universale. È difficile festeggiare quando la festa si svolge sopra un cimitero, ma l’importante è che tutti possano dire di aver vinto qualcosa.
Alla fine, questa guerra dei 12 giorni (14, ma chi sta a contare?) ci insegna una lezione preziosa: nel teatro geopolitico moderno, non importa quanto duri davvero un conflitto, importa solo come lo si racconta. E se tutti vincono, allora nessuno perde. Tranne, ovviamente, chi ci rimette la pelle - ma quelli, di solito, non fanno conferenze stampa.