Una riflessione amara sul fallimento della diplomazia italiana nell’era Trump

Giorgia! La donna che doveva essere il ponte tra due mondi, la mediatrice suprema, la tessitrice di relazioni internazionali. Quella che, con il suo carisma da leader post-ideologica e la sua presunta capacità di parlare tanto ai sovranisti quanto agli europeisti, avrebbe dovuto trasformare l’Italia nel fulcro diplomatico del mondo occidentale.

E invece eccoci qui, a contemplare i cocci di una strategia che aveva tutto il fascino di un castello di carte costruito durante un terremoto.

Il Sogno della Grande Strategia

Ricordate? All’inizio sembrava tutto così perfetto. Meloni aveva il piano: mantenere saldi i rapporti con l’Europa (dopotutto, i fondi del PNRR non crescono sugli alberi) e al contempo coltivare un’amicizia speciale con Trump. L’Italia come snodo cruciale, Roma come nuova Casablanca della diplomazia internazionale. Un piede nell’Atlantico, uno nel Mediterraneo, e le mani tese verso entrambe le sponde.

Il “buon rapporto personale” con Trump doveva essere la carta vincente. Quella telefonata, quella stretta di mano, quella foto insieme che avrebbe aperto tutte le porte. L’uomo forte che parla all’uomo forte, la leader che sa come prendere il tycoon. “Vedrete,” sembrava dire, “io so come trattare con Donald.”

La Realtà Morde

E invece Trump ha fatto quello che Trump fa sempre: ha cambiato idea ogni cinque minuti, ha usato i dazi come una clava negoziale, e ha sostanzialmente ignorato ogni tentativo di mediazione italiana. Dal 2,5% al 10%, poi minacce del 20%, poi del 50%, infine il 30%. Un festival dell’improvvisazione che ha reso ogni strategia italiana completamente inutile.

Ma la cosa davvero esilarante è il comunicato del governo italiano. Mentre la Francia minaccia contromisure serie e la Germania almeno ammette apertamente le proprie preoccupazioni economiche, l’Italia che fa? Confida nella “buona volontà” delle parti. Buona volontà! Come se Trump fosse un vicino di casa con cui discutere del volume della musica, non un presidente che ha fatto della guerra commerciale il suo sport preferito.

Il Ponte che Collassa

E qui arriviamo al cuore del problema. Meloni non è riuscita a essere il ponte per una ragione molto semplice: Trump non aveva bisogno di ponti. Aveva bisogno di sottomissione. Il suo approccio ai rapporti internazionali non prevede mediatori, ma solo vincitori e perdenti. E l’Italia, con la sua strategia del “facciamo gli amici di tutti”, è finita dritta nella categoria dei perdenti.

La verità è che la nostra premier ha creduto di poter giocare una partita per cui non aveva le carte giuste. Ha sopravvalutato il peso dell’Italia negli equilibri globali e sottovalutato la natura transazionale e imprevedibile di Trump. Ha pensato di poter essere la Merkel dei nostri tempi, dimenticando che la Merkel aveva dietro di sé l’economia più forte d’Europa.

La Comedia dell’Arte Diplomatica

Ora assistiamo a una rappresentazione tragicomica: mentre l’Europa si divide tra francesi che vogliono fare i duri e tedeschi che cercano di salvare le loro esportazioni, l’Italia rimane in mezzo con la sua linea “cauta” e i suoi appelli alla “buona volontà”. È come guardare qualcuno che cerca di spegnere un incendio con un annaffiatoio da giardino.

Il tentativo di Meloni di utilizzare il rapporto personale con Trump per ottenere un trattamento di favore si è rivelato “ampiamente fallimentare” – e questo non lo diciamo noi, ma la cronaca nuda e cruda dei fatti. Il ponte si è trasformato in un vicolo cieco.

L’Amara Conclusione

Forse il problema è che Meloni ha confuso la politica interna con quella internazionale. In Italia può bastare un tweet ben piazzato o una dichiarazione ad effetto per spostare l’opinione pubblica. Ma Trump non è un elettore italiano: è un presidente americano che ha promesso di mettere “America First” e che non ha alcuna intenzione di fare regali all’Italia solo perché la nostra premier crede di avere un rapporto speciale con lui.

Il risultato? L’Italia si ritrova più isolata di prima, con un’Europa divisa che non sa come rispondere alle minacce americane e un governo che continua a confidare in una “buona volontà” che esiste solo nella sua immaginazione.

Il ponte è crollato prima ancora di essere completato. E noi restiamo qui, su una sponda, a guardare l’acqua che scorre e a chiederci se davvero pensavamo che sarebbe finita diversamente.

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