Nel caldo torrido dell’Etiopia, mentre il sole picchiava sui terreni aridi e le dune avanzavano inesorabili verso i campi coltivati, arrivò Giorgia Meloni con la sua delegazione. Venivano per parlare di sistemi alimentari, di lotta al cambiamento climatico, di cooperazione internazionale. La Premier aprì il suo discorso citando Cicerone e il suo Cato Maior, parlando della nobiltà del lavoro agricolo come se fosse la prima a scoprire che la terra nutre l’uomo. Le parole scivolavano melodiose nell’aria polverosa, mentre i contadini locali continuavano la loro battaglia quotidiana contro il deserto che non conosce retorica. “La bellezza dei lavori agricoli,” declamava, “dove si lotta contro l’avanzata delle sabbie…” Ma le sue parole sembravano echi di un passato che aveva sognato imperi dove il sole non tramontava mai, imperi costruiti con la forza e mai davvero realizzati. Un vecchio contadino etiope, le mani segnate dalla fatica e dagli anni, ascoltava in silenzio le parole di Meloni. Aveva visto molte delegazioni, molte promesse, molti discorsi. Sapeva che quando le parole sono troppo belle, spesso nascondono vuoti profondi. Nel frattempo, il deserto continuava la sua marcia silenziosa, indifferente alle citazioni classiche e alle promesse di rinascita. Perché la terra conosce solo il linguaggio dei fatti, non quello delle intenzioni mai tradotte in realtà. E quando Meloni e la sua delegazione ripartirono, lasciando dietro di sé una scia di polvere e buone intenzioni, il sole tramontò come sempre sull’Etiopia, tingendo di rosso un orizzonte che aspettava ancora soluzioni concrete, non sogni di grandezza del passato.