Le parole pronunciate ieri da don Nuccio Cannizzaro durante l’omelia alla kermesse di Forza Italia a Reggio Calabria rappresentano un preoccupante scivolamento della funzione religiosa verso la propaganda politica.
Il sacerdote, già processato e poi assolto per aver presuntamente coperto un boss di ‘ndrangheta, ha trasformato l’altare in un palco elettorale, tuonando contro la “cultura della legalità” e invocando la supremazia del “potere scelto con il voto” sulla magistratura.
Particolarmente grave appare il paragone tra Gesù e la contestazione della “rigida legge ebraica”, strumentalizzato per giustificare attacchi all’operato della magistratura. Una deriva che offende tanto la fede quanto le istituzioni democratiche, confondendo il messaggio evangelico con slogan di parte.
La Chiesa calabrese, già duramente provata dal rapporto complesso con la criminalità organizzata, non ha bisogno di pastori che seminino sfiducia nelle istituzioni dello Stato. Ha bisogno di guide spirituali che predichino giustizia, legalità e riconciliazione, non di chierici convertiti alla battaglia politica contro i “poteri non eletti”.
Don Cannizzaro dovrebbe ricordare che il Vangelo insegna a “dare a Cesare quel che è di Cesare”, non a trasformare la Casa di Dio in un comizio contro la magistratura.
E invece sta lì senza contraddittorio, senza prese di distanza apprezzabili e proporzionate ed infanga la memoria di chi per mano mafiosa e’ stato ucciso e sputa in faccia contro chi, in mezzo a mille e mille difficoltà, sempre crescenti, la mafia la combatte tutti i giorni.