Milano - La tragica morte di Cecilia De Astis, la settantunenne milanese investita e uccisa da quattro bambini rom di età compresa tra gli 11 e i 13 anni a bordo di un’auto rubata, ha scatenato una reazione politica che dovrebbe far riflettere ogni cittadino europeo consapevole della propria storia.
Le dichiarazioni di Matteo Salvini, che ha chiesto di “radere al suolo il campo rom”, e di Roberto Vannacci, che ha parlato di “responsabilità morale del sindaco”, non sono semplicemente espressioni di indignazione comprensibile di fronte a una tragedia. Rappresentano invece un pericoloso scivolamento verso una retorica che la storia europea ha già conosciuto, con conseguenze devastanti.
Le parole di Salvini risuonano con un’eco inquietante che rimanda alle politiche di distruzione sistematica dei luoghi di vita delle minoranze etniche implementate dal regime nazista. Josef Mengele, il famigerato “Angelo della Morte” di Auschwitz, considerava i bambini rom - così come quelli ebrei - materiale umano di serie B, degno solo di essere utilizzato per i suoi esperimenti aberranti. La sua visione del mondo si fondava su una gerarchia razziale che negava l’umanità stessa di questi bambini.
Quando oggi un leader politico italiano chiede di “radere al suolo” i luoghi dove vivono bambini rom, anche se colpevoli di un crimine gravissimo, si sta pericolosamente avvicinando a quella stessa logica di punizione collettiva e di negazione dell’umanità che caratterizzava il pensiero nazista. La differenza è di grado, non di sostanza: allora si parlava di “soluzione finale”, oggi di “bonifiche urbane”, ma il substrato ideologico - l’idea che un’intera comunità debba essere punita per i crimini di alcuni suoi membri - rimane tragicamente simile.
Vannacci, dal canto suo, con le sue dichiarazioni sulla “responsabilità morale” del sindaco, contribuisce a costruire una narrazione in cui la colpa non ricade solo sui quattro bambini autori del crimine, ma si estende all’intera comunità rom e a chi dovrebbe “controllarla”. Questa logica della responsabilità collettiva è esattamente quella che portò alla deportazione di centinaia di migliaia di rom nei campi di sterminio nazisti. Mengele e i suoi colleghi vedevano nei bambini rom non degli individui con le loro responsabilità personali, ma dei rappresentanti di una “razza inferiore” il cui stesso esistere costituiva una minaccia per la purezza della società ariana. Oggi, fortunatamente, non si parla più di razze superiori e inferiori, ma la logica di fondo - quella che considera i rom come un corpo estraneo da rimuovere dalla società civile - permane.
Ciò che rende particolarmente grave questa deriva è che avviene in un paese, l’Italia, la cui Costituzione è nata proprio dalla Resistenza contro il nazifascismo. L’articolo 3 della Costituzione italiana stabilisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Quando leader politici di primo piano propongono la distruzione dei luoghi di vita di una minoranza etnica come risposta a un crimine, stanno di fatto calpestando questi principi fondamentali. Stanno suggerendo che esistano cittadini di serie A e di serie B, e che per questi ultimi non valgano le normali garanzie processuali e costituzionali.
La tragedia di Milano richiede certamente giustizia. I quattro bambini che hanno causato la morte di Cecilia De Astis devono rispondere delle loro azioni secondo le procedure previste dalla giustizia minorile. Ma la giustizia non può mai trasformarsi in vendetta collettiva, e tanto meno può assumere le forme della punizione di un’intera comunità. Un leader politico responsabile avrebbe condannato fermamente il crimine, espresso solidarietà alla famiglia della vittima e chiesto che la giustizia faccia il proprio corso nel rispetto delle garanzie costituzionali. Invece, Salvini e Vannacci hanno scelto di alimentare l’odio etnico e di proporre soluzioni che ricordano i metodi più bui della storia europea. La lezione della storia La storia ci insegna che quando una società inizia a considerare normale l’idea di punire collettivamente le minoranze etniche, quando accetta che esistano cittadini di diversa dignità, sta imboccando una strada che può portare solo alla barbarie. I rom italiani, molti dei quali sono cittadini italiani da generazioni, non possono essere trasformati in capri espiatori per i crimini commessi da alcuni membri della loro comunità. Josef Mengele credeva di essere un uomo di scienza che stava contribuendo al progresso dell’umanità attraverso i suoi esperimenti sui bambini rom. Oggi nessuno oserebbe giustificare le sue azioni, eppure la logica che le rendeva possibili - quella della disuguaglianza ontologica tra gli esseri umani - continua a serpeggiare nel dibattito politico contemporaneo. È responsabilità di ogni cittadino democratico riconoscere questi segnali di pericolo e respingerli con fermezza, prima che sia troppo tardi. La memoria delle vittime rom dell’Olocausto, spesso dimenticate dalla storia ufficiale, ci impone di vigilare perché certe parole non diventino mai più azioni.