Mentre Francesca Albanese nel suo rapporto alle Nazioni Unite denuncia l’evoluzione dall’“economia dell’occupazione” all’“economia del genocidio” che rende profittevole la distruzione sistematica del popolo palestinese, in questi giorni coraggiosi attivisti di 44 paesi stanno sfidando il blocco navale israeliano con la più grande flottiglia civile mai organizzata: la Global Sumud Flotilla.
Un atto di resistenza contro il sistema di morte La flottiglia che ha salpato da Barcellona e da altri porti mediterranei, inclusi quelli italiani di Genova e dalla Sicilia, rappresenta la risposta dal basso a quel sistema economico che Albanese ha smascherato nel suo rapporto: un meccanismo dove “il genocidio a Gaza non si è fermato perché è redditizio per troppe persone”.
Mentre aziende come l’italiana Leonardo S.p.A. continuano ad alimentare questo business della morte attraverso forniture militari e complicità commerciali, la società civile internazionale risponde con un gesto di umanità pura: portare cibo, acqua e medicine a una popolazione sotto assedio.
Il lassismo complice del governo italiano di fronte alle minacce del ministro israeliano Ben Gvir contro gli attivisti della flottiglia, il governo Meloni ha mostrato tutta la sua ambiguità.
Solo dopo le richieste della segretaria PD Elly Schlein, che ha chiesto al governo di “rispedire con forza al mittente” le minacce israeliane e di proteggere gli attivisti italiani, la premier ha fornito rassicurazioni vaghe e tardive, continuando a privilegiare “canali umanitari più efficaci” - gli stessi canali che in undici mesi non sono riusciti a fermare la catastrofe umanitaria a Gaza.
Rompere il silenzio, rompere l’assedio La Global Sumud Flotilla non trasporta solo aiuti umanitari: trasporta la speranza di spezzare quel meccanismo perverso denunciato da Albanese, dove l’economia del genocidio si autoalimenta attraverso il silenzio e la complicità internazionale. Ogni imbarcazione che sfida il blocco israeliano è un atto di resistenza contro un sistema che ha trasformato l’occupazione in un business redditizio e il genocidio in una strategia economicamente sostenibile.
Come scrivono gli organizzatori: “Anche se apparteniamo a diverse nazioni, fedi e convinzioni politiche, siamo uniti da un’unica verità: l’assedio e il genocidio devono finire”. È questa verità che il governo italiano dovrebbe abbracciare senza tentennamenti, invece di nascondersi dietro diplomatiche formule, mentre una popolazione viene sistematicamente annientata.
La Global Sumud Flotilla ci ricorda che di fronte all’economia del genocidio esiste un’alternativa: l’economia della solidarietà, della resistenza nonviolenta, della disobbedienza civile contro l’ingiustizia. Mentre i profitti dell’occupazione continuano a scorrere, migliaia di volontari internazionali rischiano la propria sicurezza per affermare un principio semplice: nessun popolo può essere condannato all’estinzione per il profitto di pochi.
Il mare davanti a Gaza oggi è solcato da navi cariche di speranza. È il momento per l’Italia di scegliere definitivamente da che parte stare: con l’economia del genocidio o con l’umanità che resiste. Se stiamo con la Flottilla c’è ancora speranza.